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Tumore al seno localizzato, l’oncologa Toss: “Contro recidiva personalizzare cura adiuvante”

(Adnkronos) –
Pianificare un trattamento adiuvante personalizzato, calibrato sulle caratteristiche specifiche del tumore e della paziente, "anche quando il cancro al seno viene diagnosticato in fase precoce e asportato chirurgicamente". È la strategia descritta da Angela Toss, oncologa al Centro Oncologico di Modena e docente di Oncologia medica all’Università di Modena e Reggio Emilia, in un articolo pubblicato su 'è tempo di vita' (etempodivita.it), progetto editoriale promosso da Novartis, per ridurre il rischio che la malattia, dopo l’asportazione chirurgica, si ripresenti, anche a distanza di anni. "Il follow-up – spiega – ha un duplice obiettivo: prevenire le recidive e aiutare la paziente a riprendere una vita il più possibile normale". 
La crescente disponibilità di trattamenti efficaci rappresenta una grande opportunità per il clinico e per la paziente. "Tuttavia – osserva Toss – proprio la complessità delle opzioni richiede un approccio di decisione condivisa (shared decision making). È fondamentale che medico e paziente discutano insieme le possibili terapie, tenendo conto non solo dell’efficacia clinica ma anche degli obiettivi e delle priorità personali della donna, in un equilibrio continuo tra efficacia terapeutica e qualità della vita". Un aspetto essenziale, ricorda Toss, è che "ogni tumore e ogni paziente sono unici. Non esistono 2 tumori identici, perché diversa è la biologia delle cellule tumorali e differente è il contesto clinico e personale di ogni donna".  
Il trattamento adiuvante del tumore della mammella, chiarisce Toss nell’articolo online, ci si riferisce a "pazienti che hanno subito l’asportazione del tumore, con o senza coinvolgimento dei linfonodi locoregionali. Per ridurre il rischio di recidiva, le strategie terapeutiche si sono evolute nel tempo", dalla sola terapia endocrina, si è passati a trattamenti più complessi, "prolungando i tempi di somministrazione nelle pazienti a più alto rischio e introducendo nuove molecole". Tra le nuove terapie che hanno cambiato la gestione del tumore mammario localizzato, Toss evidenzia il ruolo degli "inibitori delle chinasi ciclino-dipendenti (Cdk4/6), che hanno trasformato la pratica clinica", contribuendo a ridurre il rischio di recidiva invasiva e a distanza, migliorando significativamente i risultati clinici. Inoltre, nelle donne portatrici di mutazioni germinali nei geni Brca1 e Brca2, l’utilizzo dei Parp inibitori ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza globale (overall survival) se assunti per un anno dopo l’intervento. 
Per stimare il rischio di recidiva – si legge nel sito ‘è tempo di vita’ – si prendono in considerazione i fattori anatomici, legati all’estensione della malattia alla diagnosi, e quelli biologici, relativi all’aggressività intrinseca del tumore. Alcuni tumori, pur essendo di piccole dimensioni, hanno caratteristiche genetiche e molecolari tali da renderli particolarmente aggressivi. Anche se esistono software in grado di combinare questi fattori e fornire una stima del rischio, Toss avverte che "questi strumenti sono solo un supporto, non possono sostituire l’esperienza e il giudizio clinico, perché né i tumori né le pazienti possono essere ridotti a semplici numeri". 
Il tumore della mammella – informa l’articolo – resta la neoplasia più frequente nella popolazione femminile e, considerando entrambi i sessi, nella popolazione generale. I dati Airtum (Associazione italiana registri tumori) stimano che 1 donna su 8 possa sviluppare un tumore al seno nel corso della vita. Nonostante l’elevata incidenza, la prognosi è fortunatamente migliorata molto negli ultimi decenni: oggi, circa l’87% delle donne è viva a 5 anni dalla diagnosi, anche se permangono differenze tra le diverse aree geografiche italiane. Se ci concentriamo sulle forme più precoci, ovvero quelle localizzate alla sola ghiandola mammaria e senza coinvolgimento linfonodale, la sopravvivenza a 5 anni supera il 96-97%. 
Nonostante i progressi, il rischio di recidiva, soprattutto nelle forme biologicamente più aggressive, "può persistere anche molti anni dopo la fine dei trattamenti – rimarca Toss – Per questo motivo il follow-up oncologico dura in genere dai 5 ai 10 anni e consente di monitorare la situazione clinica, intervenendo tempestivamente se necessario. Il rischio di recidiva tende a diminuire progressivamente nel tempo, soprattutto grazie ai miglioramenti nella diagnosi precoce e all’efficacia dei trattamenti adiuvanti", ricorda l’oncologa citando uno studio pubblicato nel 2024 su The Lancet, che ha evidenziato una riduzione significativa delle recidive nelle pazienti diagnosticate negli anni 2000 rispetto a quelle degli anni ’90. E i dati più recenti fanno ipotizzare che le donne diagnosticate dopo il 2010 potranno beneficiare di un ulteriore calo delle recidive, grazie a terapie ancora più mirate ed efficaci. L’articolo completo e ulteriori approfondimenti sono disponibili su etempodivita.it —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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