(Adnkronos) – Gli ultimi studi registrativi, "hanno testato l’evoluzione di aflibercept 8 mg" nelle maculopatie e ne "abbiamo decretato l'efficacia e la sicurezza, in 2 studi Pivotali: Pulsar e Photon. Il primo si è concentrato sulla degenerazione maculare legata all'età di tipo neovascolare, mentre il secondo ha testato l’efficacia nell’edema maculare diabetico. Questi studi hanno dimostrato l'equivalenza terapeutica tra il ‘vecchio’ aflibercept 2 mg” e la nuova formulazione 8 mg “ma, soprattutto, una riduzione significativa del numero di trattamenti necessari a uno, a due e a tre anni dall'inizio del trattamento. A due anni dall'inizio del trattamento, il 25-30% circa dei pazienti ha avuto bisogno di una iniezione ogni 6 mesi alla fine del follow up dei 3 anni e questo è qualcosa che non avevamo mai visto e sperimentato con le iniezioni intravitreali. Ovviamente, il risvolto pratico sta in una riduzione probabile dei costi e in un miglioramento significativo della qualità di vita dei nostri pazienti". Così all’Adnkronos Salute Paolo Lanzetta, professore di Oftalmologia e direttore della clinica Oculistica università degli studi di Udine, in occasione dell’incontro, organizzato oggi a Milano da Bayer, dedicato alla nuova formulazione aflibercept 8 mg, recentemente adottata in Italia, che rappresenta un progresso nella cura della degenerazione maculare neovascolare (nAmd) e della Dme. "La maculopatia dal punto di vista epidemiologico colpisce un gran numero di persone – spiega Lanzetta – Ci sono due tipi di maculopatia: la degenerazione maculare legata all'età (Amd) di tipo umido o neovascolare – di fatto la principale causa di cecità legale nel mondo occidentale – e l'edema maculare diabetico (Dme), che è una componente della più complessa retinopatia diabetica, principale causa di cecità legale nella popolazione in età lavorativa, con un impatto sulla società e sulla qualità di vita dei pazienti davvero significativo. Da quasi 2 decenni i pazienti hanno accesso a terapie efficaci e sicure che sono rappresentate dai trattamenti intravitreali, spesso con farmaci cosiddetti anti-Vegf. Siamo passati – illustra lo specialista – dagli anti-Vegf di prima generazione, che necessitavano di frequenti somministrazioni intraoculari – mensile o bimensile – a quelli di seconda generazione, che si caratterizzano per la medesima efficacia, in termini di miglioramento della qualità visiva – quindi con la possibilità per i pazienti di mantenere la licenza di guida – e una riduzione della frequenza dei trattamenti iniettivi", conclude. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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