(Adnkronos) – “L’introduzione di un composto sintetico di origine marina nel trattamento di mantenimento dei pazienti affetti da tumore polmonare a piccole cellule (SCLC) in stadio avanzato rappresenta un’innovazione: da 20 anni, infatti, non si registrava una nuova strategia terapeutica per questo tipo di tumore. Mentre per il tumore polmonare non a piccole cellule (NSCLC) le innovazioni sono state numerose, sia nell’ambito della medicina di precisione sia dell’immunoterapia, per lo SCLC si è assistito a un vuoto terapeutico lungo due decenni. Questa nuova opzione di cura si distingue per efficacia e buon profilo di tollerabilità”. Lo afferma Silvia Novello, direttrice della Struttura complessa a direzione universitaria di Oncologia medica dell’Ospedale San Luigi di Orbassano e professoressa ordinaria di Oncologia medica all’Università degli Studi di Torino, in occasione della Giornata mondiale del tumore al polmone del 1° agosto, commentando i risultati dello studio IMforte presentato lo scorso giugno all’ASCO, il congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology, che “segnerà un cambiamento nella pratica clinica quotidiana”.
Il carcinoma polmonare a piccole cellule (SCLC), che rappresenta circa il 12% di tutte le diagnosi di tumore polmonare, pari a circa 6.500 nuovi casi l’anno in Italia, “continua a rappresentare una sfida – spiega Novello – essendo la forma più aggressiva e difficile da trattare: nella maggior parte dei casi, la diagnosi avviene quando la malattia è già in fase avanzata”.
Nel dettaglio, lo studio ha coinvolto circa 600 pazienti con SCLC in stadio esteso, inizialmente trattati con lo standard terapeutico. Dopo questa prima fase, in caso di risposta o stabilità della malattia, i pazienti venivano randomizzati a proseguire con la sola immunoterapia oppure con la stessa immunoterapia associata a un composto sintetico di origine marina. Quest’ultimo, derivato da una sostanza naturale marina, rappresenta un’importante innovazione perché offre un approccio terapeutico nuovo e differente per questi pazienti. “I risultati sono stati molto positivi – spiega l’oncologa – con una sopravvivenza libera da progressione (PFS) di 5,4 mesi per la combinazione, contro i 2,1 mesi del trattamento con sola immunoterapia. Anche la sopravvivenza globale (OS) mostra un vantaggio significativo: 13,2 mesi rispetto ai 10,6 mesi del gruppo di controllo. In termini percentuali, la combinazione consente una riduzione del rischio di progressione della malattia del 46% e del rischio di morte del 27%. Anche sul fronte della sicurezza, i dati ottenuti dallo studio risultano gestibili nella pratica clinica. Si tratta – conclude – di risultati sicuramente incoraggianti”. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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