(Adnkronos) – Se è vero che negli ultimi anni abbiamo attraversato momenti di grandi perturbazioni e una costante volubilità, è altrettanto certo che mai come oggi il mondo (e il nostro quotidiano) si è fatto ancora più convulso e mutevole, sicuramente più pericoloso. Il conflitto è diventato la modalità prioritaria di risoluzione delle controversie internazionali; aumentano le guerre e la spesa militare (2,7 trilioni di dollari nel 2024, il 17% in più rispetto al 2022) si chiudono le frontiere e cambiano i rapporti di forza tra le potenze. Uno scenario che non sembra peraltro arretrare, tanto che il 78% degli opinion leaders del Rapporto Coop prevede un aumento dei conflitti militari nei prossimi 3/5 anni e il 18% teme l’inizio di un conflitto su scala globale. E' quanto emerge dall’anteprima digitale del “Rapporto Coop 2025-Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani”, redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori-Coop) con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto d’analisi di NielsenIQ e i contributi originali di Circana, GS1-Osservatorio Immagino, Cso Servizi, GfK, Mediobanca Ufficio Studi. "La stessa logica del conflitto dalla geopolitica – si legge – si estende alle relazioni commerciali che con il Liberation Day sembrano segnare il declino della globalizzazione (la metà delle imprese esportatrici prevede un calo dei flussi commerciali nel 2025) e dei suoi effetti propulsivi sulla crescita mondiale. Malgrado le ambizioni di supremazia dell’amministrazione Trump in discussione appare soprattutto la leadership degli Usa, a partire dal softpower culturale e dalla centralità negli scambi internazionali, (negli ultimi 25 anni il numero di Paesi che commercializzano più con la Cina che con gli Stati Uniti è salito da 30 a 145), la stessa forza del dollaro si riduce nelle riserve monetarie internazionali e il debito pubblico americano oramai non è dissimile da quello italiano. Cresce invece la forza economica e culturale delle potenze asiatiche e del Sud del mondo che oggi per la prima volta si pongono in netta contrapposizione all’Occidente (nel 2025 la Cina viaggia su un tasso di crescita annuo del Pil intorno al +5%, l’India supera il +6% a fronte di un ben più modesto +1,9% degli Usa e +1% dell’Ue)". In questa inedita contesa per la leadership del mondo post-americano, si legge ancora, "gioca un ruolo cruciale la tecnologia, in particolare oggi per il controllo dello spazio e il dominio dell’AI che è la grande scommessa dei prossimi anni. Benché persistano ancora subbi e timori, per molti è considerata un moltiplicatore del progresso economico e sociale (gli incrementi del Pil annuale potrebbero arrivare a sfiorare un +20%-+30%) con una vera rivoluzione degli assetti economici e dei modelli di vita e di lavoro. Peraltro, se l’intelligenza artificiale ha sinora riguardato i business digitali e i prodotti dematerializzati, il prossimo avvento dei robot umanoidi potrà portare gli stessi effetti rivoluzionari nell’economia reale, dal manifatturiero ai servizi alla persona, a partire dal retail. E anche qui non a caso la Cina occupa un posto in prima linea sia come numero di brevetti (5.688 quelli depositati a fronte dei 1.483 degli Usa) che per l’economicità delle proposte: un umanoide con funzionalità avanzate per uso domestico e servizi personali costerà in previsione da qui a due anni meno di 15.000 dollari. Un mercato low cost in inevitabile espansione2.In questa nuova età del caos, l’Europa gioca di rimessa. A dispetto del suo indubbio peso economico (genera un quarto del Pil globale) e della sua tenuta sui diritti fondamentali rispetto alle pericolose tentazioni antidemocratiche di tanti altri Paesi, l’Ue resta ostaggio della sua governance incompiuta. Paradossalmente proprio quando la strisciante disillusione nei confronti delle istituzioni europee (la fiducia dei cittadini nell’Ue passa dal 31% del 2012 al ben più solido 52% di oggi) non genera più approcci nazionalisti e la grande parte degli opinion leaders intervistati nella survey rappresenta la necessità di un approccio finalmente federale: lo sviluppo di una difesa comune ad esempio (è favorevole l’86% del campione), l’unificazione del sistema fiscale (78%) e l’emissione di titoli di debito pubblico europeo (75%). Mentre l’Italia, a dispetto di una stabilità politica e sociale che oggi la caratterizza positivamente nel confronto europeo, purtroppo dal punto di vista economico sembra aver definitivamente esaurito l’abbrivio della crescita record del periodo post pandemico. Così, le stime dei previsori macroeconomici individuano per il biennio 2025-2026 una crescita su base annua del Pil di mezzo punto percentuale, mentre le previsioni degli opinion leaders intervistati sono ancora più pessimistiche (+0,1% nel 2026). L’economia italiana torna al male antico di una produttività declinante. A fronte di un’occupazione in crescita (sono 840.000 i nuovi occupati), fa difetto all’Italia la produttività per ora lavorata che è prevista in decrescita fino al -1,4% in maniera opposta rispetto al resto d’Europa. Segno evidente dell’assenza nell’economia nazionale dei settori ad alto valore aggiunto e di conseguenza di un lavoro poco qualificato e meno pagato. Nei settori di impiego dei nuovi lavoratori troviamo infatti in maggioranza costruzioni, commercio, alberghi e ristoranti e fa impressione per converso il dato del titolo di studio; il numero di occupati con licenza media è sceso di oltre 647mila unità, a fronte di un aumento di 687mila diplomati e 800mila laureati. È proprio la mancata crescita della produttività a non far ripartire l’ascensore sociale, oramai fermo da anni. Basti pensare che il 10% della popolazione italiana detiene il 58% della ricchezza del Paese (peggio di noi solo i tedeschi) e a fruttare sono più le rendite (da finanza e da immobili) che il lavoro, soprattutto se è lavoro autonomo. Il sistema Italia recupera il livello complessivo dei redditi delle famiglie solo in virtù del forte aumento del totale delle ore lavorate (2,3 miliardi in più di ore lavorate nel corso degli ultimi 5 anni). —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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