(Adnkronos) – L'accordo sui dazi è fatto. Donald Trump incassa il via libera della Ue alle tariffe al 15% sui prodotti europei esportati negli Stati Uniti. Qualsiasi analisi obiettiva non può sfuggire da un dato di fondo: il 'deal' è sempre meglio di un 'no deal', viste le premesse, ma è doloroso e può diventare un pericoloso precedente. Non solo perché fa aumentare i costi per le imprese e i prezzi per i consumatori su tutte e due le sponde dell'Atlantico ma perché rende per la prima volta pienamente efficace 'il metodo Trump', imponendo una soluzione non razionale. Visto dal lato americano, il negoziato slegato dalla realtà, perché non esiste una logica economica sottostante all'aumento dei dazi, serve a produrre un presunto vantaggio alla propria parte. Alzata la posta, minacciate conseguenze dure in caso di mancato accordo, si costringe la controparte a chiudere un 'contratto' sfavorevole, pur di averne uno. Uno schema che il presidente americano ha già dimostrato di poter replicare 'n' volte. E che si basa essenzialmente sulla prevaricazione da parte del più forte, di chi può dare le carte in un gioco di cui, sostanzialmente, può anche decidere le regole. Ma dire 'ha vinto Trump', innegabile da un punto di vista negoziale, può rivelarsi sbagliato andando a considerare le conseguenze per l'economia americana e per la qualità della vita degli americani. Poi ci sono le valutazioni fatte dall'Unione europea. Con una ragione che ha prevalso sulle altre: il prezzo più alto da pagare è quello dell'incertezza e un accordo, pure svantaggioso, è meglio dello scenario peggiore, una guerra commerciale aperta, che si sarebbe delineato dal 1 agosto. Sicuramente, però, si può dire che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e gli stati europei che rappresenta, non hanno vinto e hanno perso limitando i danni. Per valutare più a fondo le conseguenze dell'accordo è necessario però entrare nel merito settore per settore e Stato per Stato, considerato che la tariffa al 15% sostituisce quelle applicate fino a oggi ma con diverse eccezioni e, in alcuni casi, spazi di trattativa ancora da esplorare. A una prima ricognizione, l'automotive 'guadagna', passando dal 27,5% al 15%, acciaio e alluminio restano al 50%, diversi dubbi riguardano la farmaceutica. Su questo fronte, in particolare, pende l'indagine sulla sicurezza nazionale che potrebbe suggerire a Trump di imporre nuovi dazi, con l'obiettivo dichiarato di riportare la produzione negli Stati Uniti. Stessa incertezza riguarda elettronica e microprocessori, anche se l'impatto per l'Europa è relativamente limitato. Ci sono anche settori che beneficiano dei 'dazi zero', in questo caso con una reale reciprocità: aerei e componenti per aerei, alcuni prodotti chimici e agricoli, le materie prime rare. In linea di massima sono quelli che beneficiano di una strategia 'anti Cina' condivisa da Usa e Ue. Fanno discutere, ovviamente, le prima analisi sulle conseguenze per i singoli Stati europei. Come succede in ogni trattativa comunitaria, una soluzione europea ha un peso diverso in base ai volumi e alla qualità delle esportazioni nazionali: l’Irlanda è il Paese più esposto, seguita da Italia, Germania e Francia. A pesare sono, in particolare, i posti di lavoro legati all'export e l'incidenza dei settori più colpiti dai dazi americani. Ovviamente, peseranno non poco gli spazi di trattativa residui, che potranno produrre ulteriori danni o, nella migliore delle ipotesi, qualche aggiustamento positivo. (di Fabio Insenga) —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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