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Tracciare, non bloccare: la nuova strategia dell’industria musicale contro l’IA generativa

(Adnkronos) – Nel 2023, l’industria musicale ha affrontato un campanello d’allarme difficile da ignorare: “Heart on My Sleeve”, un falso duetto tra Drake e The Weeknd generato da intelligenza artificiale, ha ottenuto milioni di ascolti prima ancora che si potesse chiarire chi lo avesse realizzato. Più che un semplice successo virale, quel brano ha messo a nudo la fragilità del controllo sui contenuti digitali. Da allora, non si è cercato tanto di fermare la musica generata da IA, quanto di renderla tracciabile. Sta nascendo una nuova infrastruttura che mira a riconoscere i contenuti sintetici prima ancora che vengano pubblicati, etichettarli con metadati e regolarne la diffusione. “Se non integri questi strumenti nell’infrastruttura, finisci per rincorrere continuamente l’ultima novità,” afferma Matt Adell, cofondatore di Musical AI. “Serve una rete che vada dalla fase di training fino alla distribuzione.” Sempre più startup stanno sviluppando sistemi per rilevare la presenza di IA nei flussi di licensing. Piattaforme come YouTube e Deezer hanno già attivato strumenti interni per segnalare contenuti sintetici al momento del caricamento, influenzandone la visibilità nei risultati di ricerca e nei suggerimenti personalizzati. Anche aziende come Audible Magic, Pex, Rightsify e SoundCloud stanno integrando tecnologie di rilevamento e attribuzione per monitorare ogni fase, dalla creazione dei dataset alla distribuzione finale. L’approccio emergente non mira tanto alla rimozione, quanto alla creazione di un ecosistema che tratti la tracciabilità dell’IA come un’infrastruttura di base. Società come Vermillio e Musical AI stanno realizzando sistemi in grado di analizzare i brani completati, identificare le componenti generate da IA e aggiungere automaticamente metadati appropriati. Il framework TraceID di Vermillio va oltre, scomponendo le canzoni in “stem”, come tono vocale, fraseggi melodici e strutture liriche, per individuare con precisione i segmenti sintetici. L’obiettivo è promuovere un modello di licensing autenticato e preventivo. Secondo Vermillio, il valore economico di queste tecnologie potrebbe passare dai 75 milioni di dollari del 2023 ai 10 miliardi nel 2025. Alcune aziende stanno addirittura intervenendo sulla fase di training dei modelli, cercando di quantificare l’influenza creativa di artisti specifici sulle tracce generate. Questo permetterebbe di assegnare royalty proporzionali al contributo artistico stimato, evitando contenziosi postumi. Musical AI, ad esempio, punta a tracciare la provenienza di ogni contenuto fin dal momento in cui il modello viene addestrato. “L’attribuzione non dovrebbe iniziare a brano finito, ma nel momento in cui l’IA comincia ad apprendere,” spiega Sean Power, cofondatore della società. “Vogliamo misurare l’influenza creativa, non solo intercettare imitazioni.” Anche Deezer ha sviluppato strumenti che, fin da aprile, rilevano circa il 20% dei nuovi brani caricati come completamente generati da IA, una percentuale più che raddoppiata rispetto a gennaio. Questi brani rimangono disponibili, ma non vengono promossi né attraverso suggerimenti algoritmici né editoriali. A breve, Deezer prevede di etichettarli apertamente per gli utenti. “Non siamo contro l’IA,” dichiara Aurélien Hérault, Chief Innovation Officer della piattaforma. “Ma molto di questo contenuto viene usato in malafede, più per sfruttare la piattaforma che per creare valore.” Altre iniziative stanno cercando di regolamentare l’uso dei dati alla base dei modelli. Il protocollo DNTP (Do Not Train Protocol) di Spawning AI consente ad artisti e detentori di diritti di escludere le proprie opere dal training delle IA. Strumenti simili sono già diffusi nel campo delle immagini, ma il settore audio è ancora in ritardo. Il protocollo, tuttavia, fatica ad affermarsi a causa della mancanza di standard condivisi e del sostegno incerto da parte delle grandi aziende di IA. “Il protocollo deve essere gestito da un ente indipendente e non profit per essere credibile,” avverte Mat Dryhurst, tra i promotori del consenso informato nel campo dell’IA. “Non possiamo affidare il futuro del consenso a un’unica azienda opaca che potrebbe fallire da un giorno all’altro.” —[email protected] (Web Info)

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