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Agli Uffizi mostra riscopre la perduta arte dello scolpire la cera

(Adnkronos) – Il racconto dei capolavori dell'antica scultura in cera è il fil rouge della nuova mostra degli Uffizi dal titolo "Cera una volta. I Medici e le arti della ceroplastica". L’esposizione di novanta opere, tra dipinti, sculture, cammei, pietre dure, è accolta dal 18 dicembre al 12 aprile 2026 nei nuovi spazi realizzati negli ultimi mesi e ora appositamente allestiti al piano terreno della Galleria. La mostra, curata da Valentina Conticelli, Andrea Daninos e Simone Verde, è la prima ad essere dedicata alle collezioni fiorentine d’arte ceroplastica tra XVI e XVII secolo. Fin dal titolo, si pone l'obiettivo di far luce su un incredibile ambito creativo perduto: quello della produzione di immagini in cera, sempre viva fin dall'antichità nella sensibilità popolare e destinata a conoscere un momento di particolare ritorno nel novero delle belle arti nella Firenze medicea a cavallo tra il Quattrocento e la fine del Seicento. Morbida e neutra, se lavorata dalle abilissime mani degli scultori rinascimentali, poteva dare sostanza a volti e corpi nella forma di immagini perenni. Con la cultura barocca, ossessionata dal passaggio del tempo, questa materia organica nata dalle api, che per la sua natura malleabile imita le caratteristiche della pelle come nessun'altra, viene esaltata nel dar forma al corpo vivo e al suo dissolversi. La sua produzione era assai diffusa ma in larga parte è andata perduta. Non solo per la sostanziale deperibilità del materiale, ma soprattutto per la resistenza della critica ad accogliere le sue creazioni tra le cosiddette arti maggiori: un fenomeno culturale che ne ha ampiamente favorito la dispersione.  Obiettivo della mostra "Cera una volta" è dunque far conoscere la ceroplastica – ancora oggi confinata in una sorta di inconscio della storia dell’arte – nel momento del suo massimo splendore, quando, raggiungendo forme elevatissime di virtuosismo, veniva avidamente ricercata per le raccolte principesche; ed evidenziare come, anche in questo campo, i Medici siano stati collezionisti all'avanguardia, capaci di comprendere appieno il valore di questa tipologia di oggetti proteggendo e assumendo i loro artefici. Tutto questo è andato avanti finché, nel 1783, con una vendita all’asta ordinata dal Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena, la quasi totalità di queste opere venne dispersa. Sotto il profilo scientifico, proprio al fine di riconoscere fino in fondo la dignità artistica della ceroplastica, l'esposizione intende disinnescare, proponendone il superamento, alcuni luoghi comuni relativi alle origini e alla natura culturale di quest'arte. Secondo gli storici dell'arte Aby Warburg e soprattutto Julius Schlosser, il ritratto rinascimentale, così come i busti di tradizione romana, sarebbero stati eredi dei calchi di cera dei volti dei morti, rappresentando così una creazione 'ancestrale', connotata da valori religiosi e mistici. Schlosser incardina il suo ragionamento a partire dal Vasari, il quale a sua volta si basava su Plinio. Secondo la tesi che sorregge l'esposizione, invece, la ricostruzione storica proposta da Vasari avrebbe partecipato a un’operazione propagandistica, che l’autore delle Vite avrebbe realizzato con l’obiettivo di porre la scultura del suo tempo quale discendente diretta di quella di Roma, rivendicando per Firenze usi e costumi falsamente eredi della storia imperiale. Un'operazione alla quale Schlosser credette, edificandovi sopra un impianto teorico influenzato dallo sviluppo dell’antropologia, della psicanalisi e del positivismo del suo tempo, ma a sostanziale tradimento dei documenti e della reale storia della ceroplastica. Stando alle fonti, in effetti, la tecnica rinascimentale dei calchi ricorreva alla creta e non alla cera. Dunque nulla aveva a che fare con la ceroplastica antica o con le immagini in cera dei defunti del mondo romano. A Firenze, invece, la diffusione di sculture in cera sarebbe apparsa solo con lo sviluppo della siderurgia del bronzo, a inizi del XV secolo, in particolare con l’arrivo della tecnica a 'cera persa' introdotta da Lorenzo Ghiberti nel cantiere delle porte del battistero di Firenze. La riproduzione seriale dei modelli realizzati in questo materiale, poichè necessari alla fusione, sarebbe solo in quel momento diventata un sottoprodotto di commercio per le botteghe che, oltre a busti e statue, avrebbero cominciato anche a realizzare oggetti di piccole dimensioni ispirati alla medaglistica. La mostra ricostruisce con precisione queste vicende, aderendo scrupolosamente alle fonti storiche e superando suggestive interpretazioni legate alla sfera del magico e dell'occulto, per restituire alla ceroplastica la sua dignità nell'ambito della storia della scultura. Nel contesto di una storia dimenticata e ora ritrovata e reinterpretata in tutta la sua meraviglia, l'allestimento proporrà alcune opere un tempo esibite nella Tribuna degli Uffizi e a Palazzo Pitti, alienate dalle collezioni alla fine del Settecento, che dopo secoli torneranno per la prima volta nel museo.  Circa 90, complessivamente, i lavori esposti, con tanti prestiti in arrivo da altri musei: oltre alla vasta selezione di cere, dipinti, sculture, cammei e opere in pietra dura. Vi si ammirano l'Anima urlante all'Inferno attribuita a Giulio de' Grazia e la celebre maschera funebre in gesso di Lorenzo il Magnifico, realizzata dallo scultore Orsino Benintendi.  Un'intera sala è dedicata al massimo scultore in cera attivo a Firenze alla fine del Seicento: Gaetano Giulio Zumbo. Proprio di Zumbo viene presentata al pubblico un'acquisizione recente delle Gallerie degli Uffizi. L'opera si intitola La corruzione dei corpi, tema peraltro tipico di questo artista rarissimo: un piccolo capolavoro del grande ceroplasta, grazie al quale agli Uffizi resterà viva la memoria delle sue opere più celebri. L'allestimento, voluto appositamente in forma di un tortuoso labirinto vuole prendersi invece gioco della lettura psicanalitica e occulta dell'arte in cera tipica degli inizi del XX secolo, facendo della mostra un viaggio attraverso i suoi capolavori e i suoi maestri universali, ma anche all’interno della coscienza critica della storia dell'arte.  Spiega il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Simone Verde: "Con questa mostra vogliamo portare la ceroplastica fuori da teorie 'mitologiche' che la vorrebbero illusoriamente legata alla radice primitiva dell’inconscio estetico europeo, ancorandola invece al rigore dei fatti e delle cronache della storia dell’arte. Grazie a una attenta scomposizione dei pregiudizi che hanno gravato su questa materia abbiamo lavorato a restituire alla completa dignità di artisti figure insostituibili per maestria e per creatività della scultura europea come Gaetano Zumbo".  Nella prima sala sono esposte maschere funebri – in particolare quella di Lorenzo de’ Medici del 1492 – e ritratti in scultura eseguiti con la tecnica del calco, anche a grandezza naturale. Questo per mostrare il fronte più ampio in cui l'arte dei calchi si è andata esprimendo nel Rinascimento fiorentino e di cui la ceroplastica ha rappresentato uno dei tanti ambiti produttivi.  La seconda sezione è dedicata alle cere policrome del Cinquecento, a partire da quelle menzionate nella Tribuna degli Uffizi, il cui inventario elenca vari autori, Martino Pasqualigo, Giovanni Battista Capocaccia e Costantino de' Servi, dei quali sono mostrati alcuni lavori. Insieme a questi, il ritrattino in cera di Francesco I de' Medici, di Pastorino Pastorini, al quale Giorgio Vasari attribuiva l’invenzione della cera policroma, quella cioè dove il colore è incluso nella materia. Un altro tema caro alla ceroplastica del Cinquecento è quello delle bellezze in cera, vestite o 'ignude', collezionate a Firenze anche da Bianca Cappello, esposte vicino a una serie di piccoli ritratti, sempre in cera, di uomini illustri. La sezione successiva indaga un tema molto diffuso nella ceroplastica dei primi anni del Seicento, quello dei 'Novissimi', ossia le cose ultime e ignote a cui va incontro l'uomo: morte, giudizio, inferno e paradiso. Accanto a due esemplari conservati nel Tesoro dei Granduchi a Palazzo Pitti, verranno esposte una serie di versioni dello stesso soggetto provenienti da vari musei. L'ultima sezione è dedicata al più celebre ceroplasta attivo nella seconda metà del Seicento, Gaetano Giulio Zumbo, che operò a Firenze dal 1690 al 1695, in particolare al servizio del Gran Principe Ferdinando de’ Medici. La peste, probabilmente la sua opera più celebre, è accostata, come nell'allestimento settecentesco, a un dipinto raffigurante la Testa della Medusa, all'epoca ritenuto di Leonardo. Si potranno ammirare riuniti i due gruppi frammentari raffiguranti il Morbo gallico, oggi divisi tra il Museo della Specola e il Museo Mozzi Bardini; la poco nota, ma straordinaria, Scena di stregoneria della Pinacoteca Nazionale di Sassari e il rilievo raffigurante la Corruzione dei corpi, acquistato recentemente dalle Gallerie degli Uffizi.  Accompagneranno le cere di Zumbo una serie di dipinti di soggetto alchemico e di stregoneria: la Strega di Salvator Rosa, recentemente acquistata dagli Uffizi, e alcune altre cere ispirate al maestro siciliano. In occasione della mostra le Gallerie degli Uffizi hanno sostenuto numerosi interventi di restauro su opere in cera e in terracotta appartenenti a istituzioni fiorentine, italiane e straniere, grazie ai quali se ne potrà meglio apprezzare la qualità nell'esposizione. Tali interventi hanno anche permesso di approfondire le conoscenze sulle modalità di esecuzione di questi rari manufatti. Particolarmente rilevante è stato il contributo dei musei dell’università di Firenze, che hanno eccezionalmente prestato le due opere di Gaetano Giulio Zumbo Peste e Morbo gallico, restaurate per l'occasione; questo ha fatto sì che più della metà della sua intera produzione artistica potesse essere riunita in mostra per la prima volta. (di Paolo Martini) 
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