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Agli Uffizi arriva il ‘Mendicante Moro’ di Giacomo Ceruti

(Adnkronos) – Nuovo capolavoro per gli Uffizi: è "Mendicante Moro" di Giacomo Ceruti (Milano, 1698 – 1767), pittore noto per le rappresentazioni di persone appartenenti alle fasce sociali più umili, appena acquistato dalla galleria fiorentina. Famoso per le sue raffigurazioni avanguardistiche che mirano già con sguardo borghese al popolo dotando anche i più umili di individualità, il dipinto realizzato nella prima metà del XVIII secolo è un distillato unico di composta intensità formale e sostanziale. La nuova acquisizione, oltre a dotare il museo di un ulteriore capolavoro, di una nuova icona destinata a entrare nell'immaginario collettivo, si rivela particolarmente significativa dal punto di vista della completezza delle raccolta, dato che, fino ad ora, possedeva solo un altro dipinto, peraltro di relativo spessore, di questo originale artista milanese detto Pitocchetto, ovvero il "Ragazzo con cesta di pesci e granseole", realizzato circa dieci anni dopo il Moro. Protagonista della tela è un uomo che, prescindendo dagli abiti stracciati e dal gesto di chi chiede l'elemosina, viene rappresentato dal Ceruti con la stessa solennità e riguardo stilistico destinata all’epoca ai ritratti nobiliari, nell’antico ai togati. La fisionomia è indagata con estremo verismo; capolavoro e focus centrale dell’opera sono gli occhi, pupille nerissime a contrasto con sclera candida, sofferenti e stanche, ma allo stesso tempo vive. Il valore emotivo del dipinto, elevatissimo, risiede sia nella fisionomia del volto, chiaramente tratto da un soggetto vero, che nello sguardo. Ceruti esprime dunque nel Moro non curiosità superficiale per un pittoresco esotico ma piena partecipazione umana per l’individualità di questa persona reale, presentandola con grande spessore psicologico.  Durante il Rinascimento e il Barocco, soggetti di origini africane compaiono nell'arte italiana con una certa frequenza, dai magi ai paggi e alle ancelle dalla pelle scura. La forma scultorea più comune a raffigurarli nel XVIII secolo era la statuaria dei "mori", presente nelle arti decorative e in architettura. Reggendo un piatto, un'urna o un vaso, e spesso vestiti con costumi moreschi o turchi, queste figure rimandavano ai servitori che lavoravano come paggi, valletti e valletti di camera e che indossavano infatti i copricapi piumati e i turbanti, in voga all'epoca, sempre ridotti a gusto orientalista, ad aneddotico dettaglio domestico e privi di dignità individuale, relegati a simbolo dell’opulenza del committente. Il mendicante di Ceruti, vestito di stracci, si pone in netto contrasto con questa impostazione, al tempo maggioritaria. La reputazione del pittore, attivo nell'Italia settentrionale nel XVIII secolo, è infatti incentrata sui suoi dipinti di individui solo apparentemente umili, che egli raffigura non come figure comiche e disumanizzate, ma come persone, come parte degna di quel popolo operoso da cui sarebbe emersa a breve la grande borghesia europea. I suoi dipinti di mendicanti sono pietre miliari nella storia dell'arte del continente, notevoli per la loro schiettezza e per la grande dignità umana che l'artista conferiva ai subalterni di un feudalesimo sulla via del tramonto. Del Moro non si conosce la storia collezionistica, ma il dipinto è ben noto agli studiosi per essere stato inserito nella mostra longhiana dedicata ai "Pittori della realtà" (Milano, 1953). Da allora ha goduto di ottima bibliografia comparendo in cataloghi e monografie e tornando infine alla ribalta anche di recente, in occasione della recente mostra "Giacomo Ceruti nell'Europa del Settecento", curata da Roberta D'Adda, Francesco Frangi e Alessandro Morandotti, tenuta a Brescia nella primavera del 2023. Spiega il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Simone Verde: "Dopo il Matrimonio Mistico di Santa Caterina de’ Ricci di Subleyras, le collezioni della pittura del XVIII secolo degli Uffizi si arricchiscono di un altro capolavoro, il Mendicante Moro di Giacomo Ceruti. Un unicum assoluto, questo ritratto pieno di classica monumentalità che stravolge le convenzioni iconografiche del suo tempo e allarga i confini culturali di un secolo in cui si fa strada la modernità e si affermano i valori dell'uguaglianza". (di Paolo Martini) 
—culturawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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